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PAGINE IN FINESTRA

- CARLO GIZZI

CARLO GIZZI

UNA SCATOLA MUSICALE VIVENTE

foto e testo di Gianni Boattini

16 luglio 2020

 

La carriera musicale di Carlo Gizzi prende inizio nel periodo di mezzo degli anni ’70 in cui il rock progressivo, fautore di nuove sonorità, si fa strada. È l’era in cui gruppi come i Genesis, King Crimson, Yes, Jethro Tull, Gentle Giant, per dirne alcuni, scalano le vette del successo. In Italia, il progressive rock, da vita a band famose come il Banco del Mutuo Soccorso, la Premiata Forneria Marconi, gli Area.

Contaminato da queste sonorità spesso associate al jazz, al folk, alla musica classica e colta, Carlo Gizzi, nel ’76 sperimenta questo nuovo genere con il  suo gruppo, XX Secolo. Prima ancora e per alcuni anni si esibisce, per sbarcare il lunario, tra i tavoli del Ristorante Albergo Monte Ripoli (Tivoli) offrendo ai presenti canzoni e melodie del repertorio napoletano e popolare. Nel 1988, ottiene dal Conservatorio di Musica, Alfredo Casella, a l’Aquila il diploma di chitarra e in Ungheria, presso l’Università di Esztergom, si forma al metodo Kodàly riconosciuto, dall’Unesco, come patrimonio orale e immateriale. Il metodo di Zoltàn Kodàly aiuta i bambini ad amare la musica fin dalla tenera età  e ad educare il loro orecchio musicale. Un credo a cui, Carlo Gizzi, ha sempre dedicato molto del suo tempo in qualità di insegnante. Infatti, non possiamo non ricordare, in proposito, i divertenti concerti con i Piccoli Cantori da lui diretti e gli innumerevoli album di canzoni per bambini da lui suonate e cantate.

Musicalmente molto vicino alla narrativa musicale popolare, etnica, fatta di note antiche, medievali, di note classiche, Carlo Gizzi, intorno agli anni ‘90 crea la Carlo Gizzi Ensemble. Successivamente lo ritroviamo cantore nel gruppo di musica antica, Gl’invaghiti. Direttore nel gruppo Lemarié. Musicista poi nella band,  Créuza de mä. Prima ancora, negli anni ’80, è direttore del Coro Polifonico Tiburtino di Tivoli. Direttore d’orchestra.  Ha organizzato concerti e rassegne musicali di grande spessore. È autore di numerose pubblicazioni e di album musicali tra cui ricordiamo Aria, In concerto, Carmina Burana.

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CONCERTO LIVE DI CARLO GIZZI - CARMINA BURANA

RIPRESA AUDIO IN DIRETTA DEL CONCERTO DI CARLO GIZZI IN LOCALITA'  CICILIANO - 02 AGOSTO 2020

la registrazione è "nuda".  non ha subito, per scelta, modifiche o interventi tecnici nella fase di montaggio.

ASCOLTA:

- LA GIOCONDA DI ROBERT DOISNEAU

LA GIOCONDA DI ROBERT DOISNEAU

NON SOLO "LE BAISER..."

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foto di Robert Doisneau

testo di Gianni Boattini

5 agosto 2020

 

Personalmente considero questa fotografia di Robert Doisneau al pari della Gioconda di Leonardo da Vinci. E non credo di riuscire a dimenticare l'emozione struggente che subii quando me la ritrovai davanti, in mostra, nelle sale del Palazzo delle Esposizioni a Roma (2012). A confronto, Le baiser de l'hôtel de ville, foto che lo rese famoso in tutto il mondo conosciuto si perde, oserei dire, in una banalità di realismo che altri artisti, prima di Doisneau, avevano già esplorato in modi e tecniche diverse. Nella storia dell'arte il bacio, baciare, il baciarsi è stato ed è ancora oggi uno dei soggetti più rappresentati, ripreso, sfruttato, scontato.

 

Notevole comunque il patrimonio fotografico trasmesso da questo importante maestro della fotografia. Capace di scattare straordinarie istantanee in una Parigi viva di umana realtà, di sobborghi, di bistrot, di storie raccolte lungo la Senna. Ma tra tutte le immagini che ho visto di persona attinenti a questo autore resta unica, almeno per me, La ballade de Pierette d’Orient. In questa foto, fuori dall'ordinario, è lo sguardo silente delle due donne che travolge e spezza ogni resistenza possibile. Soprattutto, in modo particolare, quello della giovane donna in primo piano. Uno sguardo, il suo, che ti rapisce senza via di uscita. Indefinibile e infinito. Profondo, eterno. Caratteristica che ritroviamo, ma in un tratteggio espressivo minore, anche in quello della donna posizionata in secondo piano.

 

Ineguagliabile poi, l'impatto visivo dell'intera composizione. Ben azzeccata la continuità del punto di fuga ottenuto dalla figura, di spalle, in fondo alla terza quinta. Senza questo piccolo omino e senza la curva di taglio del cornicione stradale il cedimento strutturale compositivo sarebbe stato inevitabile. Determinante anche la scelta di inquadrare lo strumento musicale in linea obliqua; in piano ravvicinato. Dettaglio narrativo che evidenzia, oltre alla condizione sociale della giovane donna, anche la distinzione dei diversi ceti sociali.

 

Probabilmente la scelta di valorizzare storicamente i lavori di Doisneau spesso con, Le baiser de l'hôtel de ville, potrebbe avere una valenza puramente commerciale, iconografica o mnemonica. Ma insistere nelle mostre a lui dedicate sempre con l'immancabile manifesto segnato dalla stessa grafia di, Le baiser de l'hotel de ville, a volte sconforta.

- MARIA ANTONIETTA PIRRI SOLCHI FOTOGRAFICI

MARIA ANTONIETTA PIRRI - foto di francesca pellegrino

ESTRATTO DA "PERCORSI DI - VERSI"

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MARIA ANTONIETTA PIRRI

SOLCHI FOTOGRAFICI...

testo di Gianni Boattini

foto di Maria Antonietta Pirri

06 agosto 2020

Nelle opere fotografiche di Maria Antonietta Pirri l’impasto creativo si deforma in sillogismi fuggevoli marchiati da una straordinaria poetica di rime inconsce. L’atto, l’agire si contrappongono, senza ferire, tra frammenti visivi rubati, presi, rapiti. I suoi lavori, disposti su un filo di devozione compositiva si nutrono di sezioni espressive dilatate, soffuse che sfiorano, senza possedere, spazi e visioni astruse.

Interessante la scelta di montare, in dittici fotografici, l’exscursus narrativo. Spesso tradotto in un dualismo introspettivo che pone, alle immagini, significati di rimando molto vicini alla forma mentis dell’autrice che nella fotografia tenta di esprimere un dialogo non di sole circostanze. In queste sue zone duali gli spazi si distendono senza fratture visive. Una caratteristica che avvolge e disimpegna, spesso, il racconto. Nei suoi “Percorsi di – versi”, di recente lavorazione, l’autrice, in linea con il suo modus operandi, stimola un sentiero segnato da tracce di luce, di segni delebili e di cavità rassicuranti. Un percorso per lo più ottenuto da porzioni di corpo materico associate a solchi visivi di diversa natura.

Significativo anche il suo “Inside”. Un racconto fotografico creato e reso pubblico grazie ad una iniziativa collettiva ideata e firmata da Giulia Hill (Haraidon Photo Studio) durante lo stato di emergenza da Covid 19. Il collettivo, conosciuto come “Creativiinquarantena” ha pubblicato, in rete, numerosi progetti fotografici di diversi autori. In “Inside” scorre una sorta di finestra emotiva dove, sui vetri, cadono gocce alterate di quotidianità. Le figure sono impregnate di visioni fluide, distorte, imprecise, velate. Senza identità. Cancellate. Tenute in vita solo grazie alla luce che le trafigge. Diversamente, invece la narrativa verso la fine del racconto che si schiude alla speranza di ritrovare ambienti e spazi conosciuti. Ma oltre a questi significati oggettivi “Inside” è anche una concezione speculare di visioni atemporali.

Non da meno è il trittico dedicato a “Manuela”. Opera segnata dal ricordo di una persona fisicamente scomparsa. Resa viva da una mescola di luce protesa senza profili riconoscibili. Nella sua convulsa e intensa produzione fotografica, Maria Antonietta Pirri, offre una moltitudine di scenari inconsueti che, per la loro peculiarità, stillano fruscii narrativi di notevole spessore.

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PAGINA DI MARIA ANTONIETTA PIRRI

NUMERO DI TOMBA "1943-392"

NUMERO DI TOMBA "1943 - 392"

testo di Gianni Boattini

14 ottobre 2020

 

Soltanto dei religiosi seguirono il feretro fino a Montfavet dove, nel cimitero, il Comune aveva riservato un'area per i defunti del manicomio di Montdevergues (Vaucluse). Camille Claudel, si spense il 19 ottobre del 1943 tra il brusio alienante dei pazzi che nessuno amava vedere e sentire. I suoi resti furono sepolti in una fossa. Siglata, successivamente, con il numero “1943 - 392”. Dieci anni dopo, per ragioni di necessità di servizio impellenti, le sue spoglie finirono in una sepoltura comune senza nome.

 

La sua morte, come anche quella di molti altri internati fu provocata benché gli storici siano spesso in disaccordo, da una riduzione alimentare voluta ed imposta dal regime di Vichy per assicurare, alle truppe naziste e a quelle della milizia francese, le giuste calorie giornaliere. Per il regime nazista, infervorato dall'ideologia della pura razza ariana i malati di mente erano una scomoda realtà da eliminare. Fu così che, con la complicità del governo di Vichy, venne presa la decisione di ridurre a circa poco più di 600 calorie al giorno l'alimentazione dei pazienti rinchiusi nei manicomi di Francia. Di conseguenza, la mortalità degli stessi non si fece attendere. Fonti storiche affermano che in Francia, durante il regime di Vichy morirono, di malnutrizione, più di 45.000 malati di mente. I più fortunati finirono invece nei campi di sterminio. Il manicomio di Montedevergues era stato, a quei tempi, concepito con aree in cui i pazienti si potessero dedicare a lavori di giardinaggio, di allevamento, alla coltivazione degli ortaggi, al cucito, alla vigna. Il tutto volgeva all'idea che il contatto con la natura, con l'ambiente naturale aiutasse il benessere dei malati. Camille Claudel, fu reclusa in questa dimora per folli nel 1914 fino alla sua morte avvenuta trent'anni dopo.

 

Fin da bambina il suo carattere impetuoso, ribelle, determinato, litigioso non la favoriva. Al dire il vero in famiglia, scriveva nel suo diario Paul Claudel, fratello di Camille, tutti si litigavano ma Camille era la più coriacea. Le sue idee, sempre in contrasto con i valori sociali della borghesia e il suo rifiuto di accettare un Dio la misero in contrapposizione, da subito, con la madre; donna pia educata ai doveri e al rispetto delle regole. Unico alleato benché fosse un conservatore istruito in un collegio di gesuiti fu il padre, Louis-Prosper Claudel. Nonostante ciò, Camille dimostrava verso i suoi un grande affetto.

 

Fu a Villeneuve-sur-Fère (Aisne) che Camille iniziò, da bambina, a modellare la sua immaginazione nell'argilla rossa utilizzata per costruire tegole per i tetti. Il suo straordinario talento attirò le attenzioni del Professor Colin e dello scultore Alfred Boucher che suggerirono ai genitori di inviare la ragazza a Parigi per ottenere una formazione scolastica la più adeguata possibile. Non potendo a causa del suo lavoro trasferirsi, Louis-Prosper autorizzò comunque la sua famiglia a stabilirsi nella capitale per dar modo a Camille e a Paul di realizzare i loro sogni; quello della scultura per Camille e quello della letteratura per Paul. Ma anche in questa occasione la madre, Louise Athanaïse Cécile Cerveaux, considerò la scelta scellerata e non conveniente. Soprattutto per una giovane donna diciassettenne.

 

È bene sapere che negli anni ottanta dell'Ottocento, l'Accademia di Belle Arti di Parigi rifiutava categoricamente le donne. Decisione voluta dal fatto che non era etico, per loro, assistere a lezioni di nudo con modelli maschili. In più, la società di quel periodo, maschilista e dominante, non incoraggiava di certo il gentil sesso. Per poter intraprendere i suoi studi, Camille Claudel, dovette iscriversi all'Accademia (delle Arti) Filippo Colarossi, una struttura privata che accoglieva le iscrizioni di ambo i sessi. Successivamente, sfidando l'imbarazzo della madre dinnanzi ad una tale decisione, Camile aprì, nella Rue-Notre-Dame-des-Champs, il suo atelier. Altre artiste si unirono a lei e tutte poterono contare sul contributo gratuito offerto dallo scultore Alfred Boucher, già insegnante alla Colarossi, per avere consigli e lezioni sulla scultura. Il sostegno di Boucher fu però di breve durata perché dopo aver vinto il primo premio al Salon del 1881, partì alla volta di Firenze. Ma prima di partire, Boucher, chiese al suo amico Auguste Rodin, scultore anche lui, di sostituirlo.

 

La bellezza della giovane Camille travolse Rodin. Non solo la bellezza lo scosse ma anche lo straordinario talento che questa ragazza dimostrava di avere. Pur non essendosi mai incontrati prima le opere di Camille esprimevano un modellato quasi simile a quello di Rodin. Ma all'epoca dei fatti, Camille, aveva solo diciassette anni. E lui più di quaranta. La didattica, l'insegnamento permisero a Rodin di vedere spesso la sua allieva preferita e malgrado l'eccessivo divario anagrafico l'attrazione tra i due si fece sempre più ostinata. Mesi dopo, Rodin l'accolse come assistente e modella nel suo nuovo atelier in Rue de l'Université. Tra di loro nacque, da subito, una simbiosi artistica molto intensa che penalizzò, negli anni, l'estro creativo di Camille. Nonostante le sue opere fossero dissimili da quelle del suo maestro e di personale progettazione la critica le segnò come creazioni nate sotto l'influsso guida di Rodin. Altri scrissero che il suo successo artistico fosse dovuto, in gran parte, al legame con il maestro e altri ancora dissero invece che fosse Auguste Rodin a copiare le idee della sua allieva. Sta di fatto che questi continui rumori di fondo iniziarono a turbare la psiche di Camille. Insinuare o avere persino dei dubbi sulle sue opere era una provocazione inaccettabile, insostenibile soprattutto per lei che della scultura ne aveva fatto una ragione di vita.

 

La forte attrazione tra i due si tradusse in vera passione intorno all'anno 1885. Ma il loro fu un amore clandestino. Offuscato dalla presenza di Rose Beuret, la compagna di sempre di Rodin. Follemente innamorata, Camille diventò, con il passar del tempo, sempre più esigente. Reclamava a Rodin di mettere fine al suo rapporto con Rose. Di sposarla. Di smetterla di fornicare con amanti occasionali. Ma Rodin non prese mai posizioni su quanto Camille chiedesse. Nemmeno quando lei rimase incinta di lui. Sentitasi tradita, smarrita, abbandonata Camille decise di troncare definitivamente la relazione e di ricorrere all'aborto. Il rifiuto silente di Rodin di non responsabilizzare la loro relazione provocò in lei una rottura, una ferita di disperazione. In più, sapere che il suo successo artistico fosse dipeso dal suo amante la rese sempre più dispotica verso gli altri. Il comportamento vergognoso di Camille per aver avuto una relazione con un uomo più grande di lei pur sapendo che lo stesso fosse già impegnato sentimentalmente e sapere che sua figlia si fosse sottoposta ad una interruzione di gravidanza contrariò rabbiosamente la madre a tal punto che ogni rapporto con la figlia si spense nell'indifferenza e nel rifiuto. Persino il fratello Paul fervente cattolico, conservatore e la sorella Louise presero posizione nei riguardi di Camille. A sostenerla, anche in questa occasione, fu sempre il padre ma lo scandalo segnò duramente i Claudel.

 

Il rifiuto della famiglia, il plagio da lei ipotizzato da parte di Rodin, la scelta di lui di restare con Rose, l'aborto, la sua carriera artistica oltraggiata da dicerie non vere, i suoi successi messi in dubbio, economicamente in difficoltà, i continui pregiudizi sessisti, la carenza di commesse da parte dello Stato, la morte dell'amato padre provocarono in Camille una progressiva rottura con la realtà. Nonostante ciò la giovane donna animata da fervida furia creativa continuò, tra le mure del suo atelier collocato sull'Île Saint-Louis a scolpire, a modellare. Ma la sua mente infragilitasi dagli eventi subiti la condussero in seguito ad accusare Rodin di volerla avvelenare. Di volergli mandare dei sicari. Di volergli rubare opere e idee. Era convinta che quelli della “banda di Rodin” la volessero rovinare. E a ragione di ciò prese a sprangare porte e finestre. A non uscire di giorno. A diffidare degli altri fino a quando, posseduta dalle sue convinzioni di un Rodin interessato alle sue opere e contro coloro che giudicavano i suoi lavori contaminati dall'impronta del suo ex amante, decise di distruggerli.

 

La sofferenza, il dolore di Camille giunsero alla porta dei Claudel ma nessuno di loro si prodigò in un atto di carità, di benevolenza, di comprensione. La madre, sostenuta dai figli Paul e Louise, non ne volle assolutamente sapere. Per lei Camille era decisamente un imbarazzo per il buon nome della famiglia. Un peso di cui era necessario sbarazzarsene più in fretta possibile. Fu così che dopo aver ascoltato le ragioni del dottor Michaux sullo stato di salute della sorella, Paul, autorizzò firmandone l'atto, il ricovero in manicomio. Un gesto che molti storici ritennero infondato ed estremo anche perché nella corrispondenza a noi giunta lo stato di salute di Camille non era da consolidarsi per un ricovero manicomiale. Camille, non aveva mai mostrato alcun segno di aggressività su di sé o verso gli altri. E le sue manie ossessive di persecuzione si placarono pochi anni dopo. Ma nonostante i miglioramenti ottenuti e i consigli del direttore sanitario di ricollocare in famiglia la Signorina Camille i suoi continuarono a porre scuse, firme su firme per impedirne l'uscita. Malauguratamente, in quel periodo, un testo di legge prevedeva che senza l'autorizzazione dei famigliari il malato di mente non poteva essere assolutamente dimesso. Né la madre e né la sorella Louise le fecero mai visita benché l'affetto verso di loro fu spesso annotato, da Camille, nelle numerose lettere a loro inviate. Lettere mai arrivate a chicchessia per volere della madre che aveva ordinato alla direzione sanitaria del manicomio di trattenere tutta la corrispondenza in entrata e in uscita. Persino l'amatissimo fratello Paul si disinteressò di lei fino a quando negli ultimi anni di vita di Camille, spinto più da un dovere di fede religiosa, si recò saltuariamente a trovarla lamentandosi soprattutto sull'aspetto fisico in cui versava la stessa, ritrovata a distanza di anni senza denti, ingrigita e vestita miserabilmente. Nessuna compassione ci fu nemmeno nei giorni in cui la direzione sanitaria comunicò a Paul Cludel che a causa delle restrizioni alimentari imposte dal governo la Signorina Claudel peggiorasse di giorno in giorno e che molto probabilmente un ricollocamento in famiglia le avrebbe sicuramente giovato. Camille Claudel, morì settimane dopo la missiva. All'età di 79 anni di cui trenta vissuti in manicomio. Nessuno dei suoi famigliari in vita fu presente al suo funerale. Nessuno.

 

Con il castigo manicomiale, Camille Claudel, pagava duramente le colpe per essere stata una donna, a quei tempi, troppo emancipata, sovversiva alla buona condotta imposta dalle regole sociali. Di essere stata una donna che rifiutava il conformismo borghese, religioso. Di essere libera e ribelle ad ogni imposizione sessista. A ragione di ciò la strada del manicomio, imposta, era l'unica via possibile per ridare alla famiglia una credibilità persa dai comportamenti, non più tollerabili, di Camille “la pazza”. Ma in tutta questa vicenda, la cosa più terribile fu quella che la madre, la famiglia meditarono la volontà del manicomio solo dopo la morte del padre di Camille. Unico ostacolo che non avrebbe mai tollerato una tale decisione.

 

A distanza di anni, di molti anni di silenzio dalla sua morte, di silenzio tombale voluto dall'etica soprattutto, le opere di Camille Claudel, quelle giunte fino a noi, sono oggi visibili presso il museo a lei dedicato a Nogent-sur-Seine.

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CAMILLE CLAUDEL

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AUGUSTE RODIN

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CAMILLE CLAUDEL in giardino

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CAMILLE CLAUDEL nel suo atelier

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CAMILLE CLAUDEL

Manicomio di Montdevergues

HO VISTO L'ALBA IN ARMENIA
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HO VISTO L'ALBA IN ARMENIA

testo di Gianni Boattini

21 dicembre 2020

 

I senza confini non hanno bisogno di una nazione, di un luogo dove rimanere, dove morire. Non hanno bisogno di stendere le loro ossa in un cimitero convenzionale o di segnare un territorio. Non amano essere definiti, catalogati, selezionati. Non sono i nessuno di niente. Vivono della propria essenza di umano e se ne vanno via da questo mondo seguiti da un lungo e infinito corteo di  ricordi vissuti. Amati da chi li ha accolti e detestati da chi non li ha capiti.

La libertà di essere e non di apparire ha permesso al giovane autore di questo libro di separarsi da quella identità sociale che tentava di disarticolarlo a sua immagine e somiglianza. Rifiuta, e lo dimostra a più riprese, di non voler essere sagomato come una sorta di  pacco con tanto di mittente e di destinatario. Non vuole essere un binario o essere treno ma una strada senza mete. Di certo è che la libertà ritrovata nel viaggio ha reso l’autore consapevole di non essere più una figura di carta su cui scrivere storie dettate da una società costruita tra luoghi artefatti e tossiche circostanze.

Nel libro, la narrativa si racconta in scenari di vita comune che l’autore, Gugliemo Cassiani Ingoni, divide tra compagni di viaggio e persone incontrate, conosciute. Il paesaggio, i luoghi visitati, le sensazioni trovate vengono narrati con una penna dagli occhi insaziabili mescolati a memorie visive profonde. Ogni luogo, spazio si sdoppiano in continui processi di autocoscienza del soggetto narrante. Per l’autore, il viaggio oltre ad essere un processo di liberazione è anche un atto  sovversivo contro chi lo vuole prono, contro chi decide per lui cosa fare. Nel suo “Ho visto l’alba in Armenia” si intuisce da subito la volontà dello stesso di conciliare nel viaggio la sua scelta di vita.

In questa sua prima opera letteraria, Guglielmo Cassiani Ingoni, pone al lettore, oltre alla narrazione dei suoi cammini, anche una serie di interrogativi utili a risvegliare e a capire, in chi li legge, quali siano i valori identitari legati al viaggio. Sprona più volte il lettore a riflessioni esistenziali offrendo loro modi diversi di vivere. Non impone verità assolute ma solo pagine libere per chi vuole provare ad essere libero. In, “Ho visto l’alba in Armenia” la vita scorre, i paesaggi si vestono di colori diversi, i popoli camminano, si incontrano e poi da lontano ecco arrivare  il vento.

GUGLIELMO CASSIANI INGONI

NON TUTTE MODELLE

NON TUTTE MODELLE

UN FENOMENO IN CRESCITA

testo di Gianni Boattini

25 aprile 2022

 

In pochi mesi, è il terzo tentativo che ricevo da giovani ragazze che si fanno passare per presunte modelle benché esse, in realtà, non lo siano. La tecnica è sempre abbastanza simile. Si iscrivono o meglio si celano tra le pagine di vari social network.

 

Consuetudine vuole che i fotografi, le fotografe, le modelle, i modelli, truccatrici e molte altre figure che ruotano nel settore della fotografia si ritrovino in questi gruppi per cercare o proporre progetti e collaborazioni. Trovata la persona giusta o i collaboratori giusti gli stessi si scrivono poi in privato per conciliare gli argomenti utili a promuovere quanto tra loro discusso.

 

Personalmente, per motivi di natura artistica ricerco spesso anch'io in questi gruppi modelle o modelli da fotografare. Anzi, così fanno la maggior parte di quelli che lavorano in questo settore. Premetto, che ogni iscrizione viene prima accettata dagli amministratori del gruppo. E che il gruppo è a sua volta controllato dallo stesso social network. E allora come fanno queste persone a superare i controlli? Prima cosa rispettano le regole. Secondo, si aggirano e rimangono nel sottofondo. Nella penombra. Non pubblicano foto troppo esplicite. Utilizzano un linguaggio molto telegrafico, dai contenuti ambigui e mai orientati a farti capire che stai chattando con una prostituta od escort. I loro profili sono “candidi”. Poche foto, alcune presentate con altri pseudo amici. Altre con il cane e il gatto che fanno sempre effetto. E intorno alla titolare del profilo ruotano sempre belle amiche prosperose. Soprattutto l’amica del cuore (anche lei escort a pagamento). Amano scrivere di essere laureate, sportive, che amano la lettura, l’arte. O di essere delle studentesse, altra formula molto gettonata. Sono comunque sempre le prime a contattarti. Messaggi brevi e risposte brevi. Non seguono mai l’argomento principale di cosa artisticamente proponi e non leggono mai quello che tu scrivi se non segui il loro fine. Se vedono poi che sei un pò tontolone (o che fai finta di esserlo) ti scrivono, “...ma capisci l’italiano?”. Comunque sia,  le piattaforme mettono a disposizione tre opzioni: “blocca”, “disattiva notifiche”, “ignora messaggi”. La quarta, “segnala”, non serve a nulla perché di solito sono profili falsi o presi in prestito da personaggi collusi.

 

Altra considerazione è quella che a volte sono le stesse presunte modelle a gestire in questo modo la loro doppia vita. Chi vuol capire capisca.

 

Probabilmente molti di noi, senza saperlo, potrebbero avere il proprio profilo clonato. Quindi, prestate attenzione. Un metodo attendibile per una maggior protezione è quello conosciuto come “autenticazione a due fattori”. L’altro metodo possibile è quello di cambiare spesso la vostra password. Per saperne di più vi consiglio di andare sulla rete e di leggervi cosa sia mai l’autenticazione a due fattori. Niente di trascendentale. Ed è molto semplice da capire.

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SPAZIO FOTOGRAFICO

foto tratta dal sito di "Spazio Fotografico"

Giuseppe Cordella - Raimondo Luciani

SPAZIO FOTOGRAFICO

UNA NUOVA FUCINA DELLA FOTOGRAFIA A TIVOLI

testo di Gianni Boattini

4 ottobre 2022

“Spazio fotografico”, inaugurato a Tivoli il 17 settembre 2022, offre oltre all’esperienza fotografica pluriennale dei due titolari, Raimondo Luciani e Giuseppe Cordella, una moltitudine di altri servizi come corsi di fotografia, workshop, mostre di arti visive in sede, sala posa, consulenza, stampa fine art, noleggio di attrezzature professionali, servizi fotografici, digitalizzazione ad alta definizione, direzione della fotografia. Il tutto contenuto in un arredamento azzeccato, essenziale, sobrio. Lo studio, traboccante di luce naturale e favorito da un parco luci professionali è consono per poter sperimentare ogni tipo di ricerca relativa ai diversi stili tematici delle arti fotografiche. L’ambiente, raccolto in un unico spazio, favorisce collocamenti diversi dando la possibilità di essere sia aula per i corsi, sia luogo di proiezione didattica o luogo di riunioni, di spazio per mostre, di sala posa e altro.

 

Il nostro obiettivo, al dire di Giuseppe Cordella, è quello di far diventare lo studio un luogo di scambio e di crescita tra tutti coloro che fanno della fotografia una loro passione o che ne faranno, perché no, un loro mestiere. Pertanto, “Spazio fotografico” oltre ad essere sede della nostra attività lavorativa volge ad essere anche un punto di riferimento soprattutto, speriamo, per i giovani che vogliono, convinti, avviarsi in questa sempre più ambita disciplina delle immagini.

 

Info: https://www.spaziofotografico.it/

ANIME FOTOGRAFICHE

ANIME FOTOGRAFICHE

testo di Gianni Boattini

3 maggio 2023

Il tutto, era chiuso in un sacchetto di plastica trasparente. Al costo irrisorio di pochi euro. Dentro il sacchetto una serie di foto in bianco e nero (formato 10,5x7,5 cm). Probabilmente realizzate, forse, intorno agli anni ‘60 - '70. Niente di che, mi dissi. Le solite foto strampalate in ricordo di una giornata tra amici. Solo che nello sfogliarle riconobbi, in una di queste, il volto di un giovanissimo Paolo Panelli. La prima domanda fu, “...Ma che cosa ci fa il Paolo Panelli in queste foto?”. Sorpreso, ricominciai allora a rivederle di nuovo. Con più attenzione. Mi accorsi che i personaggi, irriconoscibili in un primo momento, erano tutte persone legate al mondo del cinema e dello spettacolo. Oltre a quella di Paolo Panelli, riconobbi nei soggetti fotografati un giovanissimo Giancarlo Giannini, un sorridente Umberto Orsini, il melanconico regista Sergio Citti e l’affascinante Flora Carabella, moglie del notissimo attore Marcello Mastroianni. Foto inedite? Chissà!

 

Comunque sia, se non avessi riconosciuto il Panelli queste foto sarebbero, probabilmente, sparite per sempre nella spazzatura. Infatti, la filosofia aziendale di questi depositi/vendita è quella di tenere il prodotto per un certo periodo. Dopodiché, se non venduto il prodotto o viene restituito al proprietario o gettato al macero.

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ALCUNE DELLE FOTO RITROVATE NELLA BUSTINA DI PLASTICA ACQUISTATA

TIVOLI, STUDENTI IN CORTEO

TIVOLI, STUDENTI IN CORTEO

foto e testo di Gianni Boattini

09 febbraio 2024

Nonostante, l'assurdo mormorio di alcuni passanti disturbati dal chiasso in atto e critici contro il corteo degli studenti liceali, che a loro dire a quell'ora, sarebbero dovuti starsene in classe e non in strada a rompere gli zebedei la manifestazione ha riunito una sentita e corale determinazione a sostegno di una scuola più sicura sul piano tecnico strutturale degli edifici e degli ambienti utili alla didattica. Il corteo, giunto a Piazza del Governo, sede del Comune di Tivoli ha trovato davanti al portone d'ingresso il Sindaco in persona che ha dimostrato, da subito, un'apertura all'ascolto e al dialogo tra le parti. Successivamente, dopo aver ottenuto dal primo cittadino la rassicurazione istituzionale per un intervento e dopo aver ottenuto un tavolo permanente di scambio di iniziative i manifestanti hanno poi sciolto pacificamente il corteo.

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